I pazienti in cura per il cancro alla prostata con terapia di deprivazione androgenica hanno meno probabilità di essere infettati dal coronavirus SARS-CoV-2


Uno studio condotto su un campione di 4.532 uomini nella Regione Veneto ( Italia ) ha messo in evidenza che i pazienti in cura per il carcinoma alla prostata con terapie di deprivazione androgenica ( ADT ) hanno meno probabilità di essere infettati dal coronavirus SARS-CoV-2 e, qualora fossero infettati, il decorso della malattia risulta meno grave.

Lo studio è stato pubblicato su Annals of Oncology.

I ricercatori hanno rilevato che su 4.532 uomini affetti da Covid-19, il 9.5% ( 430 ) aveva il cancro e il 2.6% ( 118 ) soffriva di tumore prostatico.
I pazienti oncologici presentavano un rischio aumentato di 1.8 volte di insorgenza del Covid-19 dell’intera popolazione maschile, e la malattia si sviluppava in forma più grave.

Quando i ricercatori hanno esaminato tutti i pazienti con carcinoma prostatico nella regione Veneto, hanno scoperto che solo 4 su 5.273 uomini in cura sottoposti alla terapia antiandrogena hanno sviluppato infezione da Sars-Cov-2 e nessuno di loro è morto.
Questo, rapportato a 37.161 uomini con cancro alla prostata che non hanno ricevuto cure con terapia di deprivazione androgenica, di cui 114 sono stati colpiti da nuovo coronavirus e 18 deceduti.
A completare il quadro, i dati dei pazienti oncologici con forme tumorali diverse dal carcinoma prostatico: su 79.661 pazienti, 312 hanno sviluppato Covid-19 e 57 sono morti.

I pazienti con tumore prostatico in terapia con deprivazione androgenica hanno riscontrato un rischio ridotto di quattro volte di contrarre l’infezione da Sars-CoV-2 rispetto ai pazienti che non hanno ricevuto cure ADT.
Una differenza ancora maggiore è stata riscontrata quando sono stati confrontati i pazienti con cancro prostatico sottoposti a terapia ADT con pazienti con altre forme di tumore; si è rilevata una riduzione di oltre cinque volte nel rischio di infezione.

I ricercatori ritengono che i risultati suggeriscano che anche gli uomini non-colpiti da carcinoma prostatico ad alto rischio di sviluppare COVID-19 potrebbero assumere terapia ADT per un periodo di tempo limitato per prevenire l'infezione, mentre quelli già infetti potrebbero prendere la terapia ADT per ridurre la gravità dei sintomi della malattia.

Esistono diverse terapie clinicamente approvate che riducono i livelli di androgeni e che possono essere somministrate ai pazienti. Ad esempio gli antagonisti LH-RH che bloccano il rilascio di LH, l’ormone che può ridurre i livelli di testosterone nei pazienti in 48 ore. L'effetto di questa terapia è transitorio. Una volta che un paziente smette di assumere il farmaco, i suoi livelli di testosterone tornano ai livelli precedenti. Questi trattamenti per abbassare i livelli di testosterone, se somministrati per non più di un mese, non hanno effetti collaterali importanti.

I ricercatori hanno iniziato a studiare l'effetto della terapia ADT sulla vulnerabilità al Covid-19 dopo che una ricerca aveva dimostrato che una proteina chiamata TMPRSS2 aiuta il virus Sars-CoV-2 a infettare le cellule umane sane.
TMPRSS2 è un membro di una famiglia di proteine ​​che sono coinvolte in diversi processi, tra cui il cancro e le infezioni virali.
Ci sono alti livelli di TMPRSS2 nei carcinomi prostatici e la sua azione è regolata dal recettore degli androgeni, a cui sono rivolte terapie come la terapia di deprivazione androgenica.
Il recettore degli androgeni regola anche i livelli di TMPRSS2 nei tessuti non-prostatici, compresi i polmoni.

Questo potrebbe spiegare perché gli uomini affetti da Covid-19 sviluppano la malattia in forma più grave rispetto alle donne.
È noto che la terapia di deprivazione androgenica può ridurre i livelli di TMPRSS2 nei pazienti con carcinoma prostatico e alcune prove sperimentali hanno dimostrato che ciò potrebbe avvenire non solo nella prostata ma anche in altri tessuti.

Le limitazioni del campione studiato includono il fatto che i pazienti di cancro affetti da Covid-19 potrebbero essere sottoposti a test del virus in numero maggiore rispetto ai pazienti non-colpiti da cancro, poiché sono più spesso in ospedale. Questo potrebbe spigare l’altra prevalenza di infezione da coronavirus tra i pazienti oncologici. ( Xagena_2020 )

Fonte: Università di Padova, 2020

Xagena_Medicina_2020